GOLD, SOLO UN CAVALLO N.5

Doma Etologia
Numero 5
Febbraio 2020
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Prefazione

Questa è la storia di un cavallo. A raccontarla è proprio lui, il cavallo stesso. Gold, figlio di un vincente Mustang americano, ripercorre nei suoi 20 anni i ruoli che l’uomo gli ha attribuito nel tempo: un cavallo da dieci milioni, un cavallo da piegare, un cavallo da macello. Fino ad arrivare a quello che è oggi: finalmente, solo un cavallo. Sta all’uomo, ora, decidere se sia o meno arrivato il momento di ascoltare. Il racconto sarà pubblicato a puntate su questa rubrica.


Capitolo 5 - Un cavallo da macello

La maggior parte del tempo ero legato. Per sellarmi, 4 uomini mi tendevano le gambe usando corde ruvide e brucianti. Mi sentivo violato. Nulla di tutto questo faceva parte di me. Così fasciato, con una sella troppo stretta nei punti sbagliati, gli speroni puntati ai fianchi sanguinanti, un torciglione tra i denti e un predatore sulla schiena, iniziava una battaglia, l’ennesima che l’uomo non era pronto ad affrontare, l’ennesima da cui sarei uscito ancora più arrabbiato, forte e vincitore.

Questa volta ero in una nuova scuderia, mi avevano venduto. Il brillante passato delle mie radici mi faceva sembrare ancora un investimento interessante agli occhi degli umani. Ognuno pensava, dentro di sé, di potercela fare, di farmi diventare un cavallo come gli altri, un cavallo a disposizione dei bipedi, di dimostrare così la loro superiorità.

Ma la loro forza era la mia forza. E, ripetutamente, mi vendevano a un nuovo, ignaro, acquirente. Gli strumenti, i rimedi meccanici che l’uomo usava su di me non avevano più alcun effetto, l’uomo stesso mi aveva fisicamente preparato a sopportare; i trainer stessi mi avevano insegnato a reagire, a mordere, a rampare; tutti hanno avuto un ruolo in questo lungo e doloroso delitto dei miei primi 6 anni di vita, nessuno escluso.

Ero vuoto, stanco, arrabbiato, privo di me stesso e allontanavo chiunque tentasse di avvicinarsi a me. Odiavo la scuderia, il box, la mangiatoia unta dal cibo avanzato, preferivo morire pur di accettare quello che l’uomo cercava di fare su di me e sui miei simili.

Venni esaudito. Se non ricordo male, era venerdì. Ancora un giorno e sarei partito di nuovo, questa volta la mia destinazione non erano la terra, il mare, una scuderia più rinomata, un nuovo proprietario da deludere. Era il macello.
Sapevo che cosa stava succedendo perché da quel momento tutto cambiò: il mio box non venne più pulito, il fieno calpestato diventò la mia unica cena, nessuno mi incapezzava per strattonarmi in campo, non ero più un problema da risolvere, ero un problema da eliminare.

Continua alla prossima puntata…

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